Era il gennaio 2012.
L’incaricato del Comune aveva una matita stretta tra le mani
e con quella mi indicò sulla mappa appesa al muro, la posizione del mio orto.
Già a vederlo sul tabellone mi stava emozionando. Nonostante il freddo intenso,
nonostante la giornata nuvolosa e tetra, dieci minuti dopo ero sul posto per
vederlo dal vivo. Continuavo a ripetermi: è bellissimo. In realtà era spoglio e
disordinato, ma io non lo vedevo, lo immaginavo. Gli ho parlato subito (non
sono pazza) e l’ho rassicurato che mi sarei presa cura di lui. Alcune verdure abbandonate
e marce, erbacce e foglie morte, una botte per l’acqua rovinata e scrostata,
bordure con fiacche piante di rose che gridavano aiuto. Ecco
come era il mio orto in quei giorni.
Il
giorno dopo era una giornata freddissima (erano i giorni della merla) ed io
coperta con strati di maglioni, la berretta di lana calata sulla fronte, alla
mattina ero già lì a prendermi cura del mio orto, a sradicare erbacce e verdure
marce e a portare nell’immondizia foglie putride. Ero completamente sola, non
c’era nessuno negli orti confinanti e questo mi ha dato una sensazione di pace immensa.
Ero in piena città, ma era come se i palazzi attorno non ci fossero, perché io
vedevo solo la terra sotto di me e il cielo sopra di me. Tornai a casa con il
naso rosso e la pelle del viso che tirava, ma il cuore … quello batteva bene,
c’era ed era vivo.
Un’Italia
intera seppellita sotto la neve ed il mio orto di nuovo là, solo ed
abbandonato. Con la neve al ginocchio non potevo proprio fare nulla se non
aspettare che arrivasse di nuovo il sole, che la neve si sciogliesse e che mi
restituisse la mia terra.