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venerdì 12 settembre 2014

LEZIONI DI MATEMATICA

Lungi da me imbarcarmi in una dissertazione sui metodi educativi della scuola d'oggi: non la vivo nella mia quotidianità, né ho altri strumenti qualificati. Però posso osservare certi risultati che forse la dicono lunga anche a persone ruspanti come me.
Leggevo del "metodo analogico intuitivo" che un docente, Camillo Bortolato, ha presentato in una giornata di formazione tenutasi in una scuola primaria di Bologna. Un nuovo metodo per insegnare la matematica.
Incuriosita ho cercato di approfondire e ho trovato video su Youtube, piuttosto che vendite di libri, CD e il maxistrumento detto "La linea del 20". Insomma un'apoteosi di mezzi dedicati ai più piccoli per insegnare loro a contare e fare le operazioni aritmetiche.
Per le tabelline poi altro libro, altro sistema perché (cito testualmente): "Imparare le tabelline con il metodo analogico offre l'opportunità di trasformare un percorso di apprendimento tanto faticoso in un piacevole gioco."

Mi auguro che veramente abbiano trovato il sistema per insegnare anche i basilari concetti dell'aritmetica ai bambini, perché, diciamolo francamente: le nuove generazioni sanno fare i conti solo se hanno una calcolatrice in mano. Lo sanno pure i fabbricanti di cellulari che una delle prime funzioni aggiuntive che inserirono fu proprio la calcolatrice.

Che imparare le tabelline sia un percorso faticoso può anche essere vero, ma non ricordo persone che siano state traumatizzate dal doverle imparare, anzi di mio penso che sia un ottimo esercizio mnemonico.
Il mio album dell'asilo
Io imparai a contare all'asilo dove le suore ci facevano punzonare asini, coniglietti, barchette, ecc. che poi ci facevano incollare in un album con il numero relativo: 1 asino, 2 coniglietti, 3 barchette, ecc.
Alle elementari arrivai conoscendo già i numeri e sapendo contare fino a 30. Per insegnarci le addizioni, la nostra maestra ci faceva conservare il dischetto di cartone che stava sotto i formaggini (siamo cresciuti con i formaggini MIO o SUSANNA tutta panna), quello che spingevi a pressione, e se a 2 dischetti ne aggiungi 1, poi impari che diventano 3.
Ho avuto un titolare 80enne (titolo di studio: 3a elementare): quando ci trovavamo a dover fare qualche calcolo, impugnava la biro e un pezzo di carta e faceva moltiplicazioni e divisioni a mano. Nel suo ufficio non esisteva la calcolatrice.
Ma potrei ricordare anche il macellaio o il fruttivendolo che facevano i conti sulla carta con la quale ti imballavano carne e verdure.

Invece trovare oggi, tra le nuove generazioni, chi sa fare una moltiplicazione o divisione a mano con la stessa loro velocità, la vedo più dura. 
Forse sono incappata solo io in ragazze e ragazzi non preparati, forse è un caso che io abbia assistito in TV a qualche giochetto scemo dove ti sparano "quanto fa 6x8" e la risposta, dopo dovuto pensamento eterno, è arrivata sbagliata.
Da un'intervista rilasciata dal Sig. Bortolato in merito al suo sistema, leggo "Si fonda sulla qualità di determinati strumenti di simulare i procedimenti mentali del calcolo in modo da trasferire la comprensione, dalla elaborazione logico-concettuale, al canale recettivo delle simulazioni analogiche-intuitive, come quando un bambino impara ad usare il computer o una lingua osservando come fanno gli altri, senza ricevere preventivamente delle spiegazioni."


Il mio album dell'asilo
Mi auguro che il sistema funzioni, altrimenti fossi negli insegnanti mi farei un serio esame di coscienza e forse non disprezzerei la vituperata, impolverata elaborazione dei vecchi asini, coniglietti, barchette, ecc.; i formaggini non hanno più il dischetto tondo, ma si può sopperire.




Oserò esporre qui la più grande, la più importante, la più utile regola di tutta l’educazione: è di non guadagnare tempo, ma di perderne.  (J. J. Rousseau)

6 commenti:

  1. Cara Marilena, credo che così si può insegnare ai bambine divertendosi e con facilità possono imparare.
    Ciao e buon fine settimana cara amica.
    Tomaso

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    1. Io infatti quando frequentavo l'asilo imparavo l'arte della pazienza e della costanza nel "punzonare" le figure, la soddisfazione nel poterle incollare nel mio album e intanto imparavo pure i numeri. Tanti piccoli momenti che tutti insieme mi formavano. A me sembrava un metodo buono. Adesso la priorità è la velocità di apprendimento, peccato che mi sembra che valga il famoso detto "la gattina frettolosa fece i gattini ciechi" !! Ciao caro Tomaso, buon fine settimana anche a te con un abbraccio. Marilena

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  2. Ah, le vecchie, care tabelline, riportate anche sul retro dei quaderni o sulla carta assorbente! impararle a memoria era davvero un piccolo esercizio mnemonico, e l'ho fatto anche con i miei figli, che invece imparavano la matematica con la teoria degli insiemi e maneggiando bastoncini colorati. Ma per imparare, ben venga qualsiasi metodo. Se poi all'apprendimento si associa anche il divertimento, tanto meglio.
    (tra parentesi: ho iniziato a conoscere da sola i numeri con le carte da gioco, ovviamente fino al 7 e lo stesso a leggere, solo lo stampatello maiuscolo, tramite TO-PO-LI-NO, dove la lettera O la faceva da padrone :-) )
    Buon pomeriggio Marilena
    Loredana

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    1. E' che ho l'impressione che i metodi di insegnamento più recenti siano meno validi. Forse mi sbaglio, ma tante volte ad es. sei in pizzeria e vedi gruppi di ragazzi che vedendo arrivare il conto devono dividere per pagare ciascuno la propria quota: hanno già tutti il cellulare in mano per fare il conto (anche se sono in 10 che è la divisione più facile in assoluto ....). Anche queste piccole scene del quotidiano che mi fanno dubitare.
      Anche io ho dei bei ricordi. Arrivai alle elementari che sapevo già leggere (che noia dover scrivere a, b, c, ecc. con calamaio e inchiostro per pagine intere !!) perché all'asilo le suore ci insegnavano pure le lettere dell'alfabeto con lo stesso sistema (uncino per bucherellare la A e l'Albero) e la sera papà mi prendeva sulle ginocchia ed insieme sfogliavamo un libro che mi aveva comprato e mi insegnava a leggere letterina per letterina, ridendo e giocando. Momenti bellissimi ed indelebili .... ed io mi sentivo orgogliosa e bravissima (il che mi stimolava il giorno dopo ad andare con crescente entusiasmo dalle suore). Ma quando all'asilo ci andò mio figlio le tate non insegnavano un bel nulla (se non i lavoretti di pasqua e natale) ed ero io alla sera che ripetevo quanto aveva fatto mio padre con me.
      Ciao Loredana. Buon fine settimana :). Un abbraccio. Marilena

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  3. Non sono un granché d'accordo; se le basi sono buone è un po' come andare in bicicletta. Se l'abbandoni anche per lungo tempo, poi ci risali e dopo qualche pedalata incerta, riprendi ad andare fluidamente. Ho portato l'esempio del mio ex-titolare con la 3a elementare. Nella sua giovinezza è stato deportato in Germania, al rientro ha fatto l'operaio per anni ed anni. Quindi di certo non ha avuto possibilità di "praticare" la matematica. Ma quando si buttò nell'imprenditoria, ha ripreso a fare i conti e ti assicuro che li sapeva fare molto bene perché da un'attività in cantina passò ad un'azienda con migliaia di dipendenti. Accanto alla sua mente imprenditoriale di sicuro vulcanica, c'era una grande dimestichezza con il saper fare i conti: in mancanza di strumenti e orpelli vari, aveva imparato a farli a mano e molti a mente.
    I numeri (che io personalmente odio perché detesto la matematica) fanno comunque parte del nostro quotidiano, ma ci siamo tutti impigriti: io stessa quando pago e devo ricevere un resto butto l'occhio alla cassa perché so che quella segna l'importo che mi spetta: non uso più il cervello nemmeno per fare una semplice sottrazione.
    Se però mi togli la tecnologia e mi dai una biro e mi fai fare una moltiplicazione o divisione io la so fare, mentre le ragazze che ho avuto in ufficio non sapevano nemmeno da che parte cominciare perché loro si erano già impigrite a scuola e non dopo. Ciao.

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  4. "Fare i conti velocemente è una questione di esercizio"
    VERO, ma il problema non è il velocemente, bensì il saperli fare.

    Tutto vero quanto hai scritto in merito agli automatismi, sono affascinanti osservazioni che convalidano l'importanza della tecnologia al servizio dell'uomo.
    Ma "insegnare" fin dalle elementari a dei bambini che tutto si può ottenere tramite la tecnologia lo trovo diseducativo. Sarò forse antica nel mio pensiero, ma trovo che invece un po' di sana fatica per raggiungere una conoscenza e quindi un risultato, aiutino molto di più.
    Le mie manine di bimba che faticavano con quel punteruolo su quel contorno di figurine per staccarle dal foglio erano fatica, ma intanto imparavo (poi magari sbagliavo come ho fatto nel mio album mettendo il 4 alla rovescia ... ma sapevo che le farfalle erano 4) e non solo i numeri. E dopo tanta fatica, non puoi dimenticare.
    Ed il resto di contorno convalida quanto il tutto sia diseducativo, perché pure i genitori si sentono di delegare (dopo aver eletto la TV a baby-sitter per colmare i tempi che non dedicano ai figli) ad un PC o a qualche gioco "educativo" elettronico, l'educazione dei propri figli.
    A che pro sedersi con il proprio figlio a ripassare tabelline o alfabeto quando quello ha già tra le mani una qualche diavoleria tecnologica, magari pure parlante, che già svolge quel compito ?
    E così insegnanti e genitori affidano i bambini alla tecnologia, i bambini crescono e affidano il proprio lavoro e la propria quotidianità alla tecnologia.
    Cervelli lobotomizzati fin dall'infanzia che inevitabilmente non riusciranno a fare un ragionamento "in proprio" da adulti se non quello di sapere che tasto premere. Con l'aggravante che non conosceranno nemmeno la soddisfazione di ottenere un risultato e raggiungere un obiettivo faticando. E questo mondo che si muove così in fretta diventerà appannaggio di quei pochi che non si faranno travolgere dal sistema della lobotomia e che avranno tanti robot i quali saranno soddisfatti di saper premere un tasto.

    Lessi tanto tempo fa di un esperimento condotto sulle scimmie: messa una piccola scimmia in gabbia con una scimmia fatta di metallo che erogava il latte e sul lato opposto una scimmia di peluche. La piccola andava da quella di metallo solo quando aveva fame, faceva la sua poppata e poi tornava a rifugiarsi dalla scimmia di peluche più calda ed avvolgente.
    Noi, esseri umani, andiamo nella direzione opposta, autodistruggendoci .... chissà che non si avveri quanto la cinematografia produsse con "Il pianeta delle scimmie".
    Brrrrr !! Come sono catastrofica stasera .... mi fermo qui .... meglio...... Ciao e buonanotte.

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