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martedì 4 febbraio 2014

I LAMENTOSI

REHEARSAL FOR AN ICON- Rafal Olbinski-2001
Per la maggior parte degli uomini la vita è una seccatura passata senza che ce ne accorgiamo: una cosa triste con alcuni intervalli allegri, qualcosa come le barzellette che durante le veglie funebri si raccontano per passare la quiete della notte e l'obbligo della veglia. Ho sempre trovato futile il fatto di considerare la vita come una valle di lacrime: è una valle di lacrime, sì, ma dove poche volte si piange. Ha detto Heine che dopo le grandi tragedie finiamo sempre per soffiarci il naso. Da buon ebreo, e dunque universale, ha visto con chiarezza la natura universale dell'umanità.
Fernando Pessoa, Il libro dell'inquietudine

Non so se sia vero che è la MAGGIOR parte delle persone che considera la vita una seccatura, una valle di lacrime, ma di certo esiste una folta schiera.  Per quel che ne so, ci sono veramente tante persone che stanno bene nella loro sofferenza e che se i loro patimenti cessassero si sentirebbero sperdute (e per sofferenza non intendo le grandi tragedie della vita, ma le burrasche che investono arrivando e poi andandosene). Sono vittime "professioniste".

No, non è un'affermazione eccessiva, sono quelle che se un giorno si alzassero e trovassero che i loro problemi sono risolti, si sentirebbero sperdute, senza più un nesso con il mondo. Perché sono proprio i loro problemi che fanno loro credere di esistere, le fanno sentire parte della società, hanno di che parlare, hanno di che farsi consolare, hanno di che sentirsi "uguali agli altri".
I loro problemi, se paragonati ai tuoi, sono sempre più gravosi (e se per caso fai notare che tu ci sei già passata, che bisogna stringere i denti ma si risolverà, ti rispondono: "ma tu sei diversa, tu hai un carattere forte" ... che suona offensivo, come tu fossi di gomma, insensibile). Ovviamente è banale ricordare che chi li osserva dal di fuori si rende conto che in realtà hanno una vita normalissima, con tante "fortune" e qualche incidente di percorso che non è né più né meno quello che tutti dobbiamo affrontare. 
Sono le persone che hanno sempre in bocca quella frase che io detesto: "siamo nati per soffrire".
Beh, io mi sento viva  e normale anche se non soffro e non ho bisogno di avere dei problemi per sentirmi parte della società, per poter avere qualcosa da raccontare. So che io ho avuto le mie sofferenze ed altri hanno le loro ed altri forse non ne hanno e c'è chi ne ha di ben più gravose. Il mio senso di appartenenza alla vita funziona in altro modo e voglio ben sperare che io sia nata anche per vivere e non solo per soffrire. 
Mio padre, davanti ai problemi, dice spesso "se cade una pietra, sta pur tranquilla che cade sulla mia testa, MA io ho la testa dura". Cerco di imparare da lui e continuo a camminare sperando di riuscire a schivare la prossima pietra; in questa valle di lacrime ci soffiamo il naso.

4 commenti:

  1. Cara Marilena, purtroppo ci sono molti uomini che sanno solo lamentarsi!!!
    ma credimi parecchi sono soddisfatti di tutto ciò che li circonda, io sono una di quelli, cara amica.
    Tomaso

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    1. E fai bene Tomaso ad essere soddisfatto; già solo guardare le tue ultime foto nel blog fa comprendere la serenità che ti accompagna.
      Purtroppo ci sono quelli che si lamentano anche quando hanno ben poche ragioni per farlo e non hanno ancora capito che si può essere sereni
      anche con piccole cose. Ciao Tomaso. Un abbraccio e una buonissima giornata. Marilena

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  2. Argh! Raptus!
    Dopo anni di vita parrocchiale (e anche in ambienti “laici”), ho notato due filoni di pensiero:
    1 siamo nati per soffrire
    2 siamo nati per soffrire e vogliamo l’eccellenza.
    La mia risposta, oltre alla pernacchiona?
    Non siamo nati per soffrire, ma ci riusciamo benissimo per colpa di gente come voi!
    un abbraccio

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    1. Mi piacciono le tue pernacchie e mi viene sempre di associarmi ad esse !!! Vedo che non sono sola ad essere circondata dai lamentosi. A Bologna
      c'è un modo dei definire queste persone "quelli che si lamentano del brodo troppo grasso", ossia che non si rendono conto che nel loro brodo c'è
      tutto, ma riescono comunque a lamentarsi. Sanno solo vedere i loro inciampi e ignorano completamente quelli di chi sta a fianco.
      Io li ascolto, cerco di dire qualche parola di conforto, ma comincio ad essere al limite; fatico sempre più ad ascoltare cose che già sono successe a me
      e quando successero non ho rotto le scatole a nessuno, ho ingoiato, ho affrontato e magari ho pianto di nascosto dal mondo. Sentirmi dire "che per me è diverso", mi manda in bestia. Il fatto che non si esibiscano i propri dolori come un medagliere non significa non soffrire. Alla prossima che me lo
      dice le mollo una pernacchia veramente. E soprattutto a quelli che non si rendono conto quali sono veramente i grandi dolori, quelli contro i quali non si hanno le armi per combattere ... dovrebbero obbligarli ai servizi dentro a certi reparti che dico io e allora forse VEDENDO, comprenderebbero chi veramente sta male e forse la smetterebbero di usare sconsideratamente il verbo soffrire.
      Ti mando un abbraccio con un sorriso e ci metto pure un bacio. Ciao Marzia :). Marilena

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